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16 Aprile 2018 admin

Far crescere i social grazie a i contenuti

Accumulare seguaci con meri criteri aritmetici che non hanno valenza strategica è attività fine a se stessa. Meglio creare un bacino fidelizzato di estimatori grazie alla qualità di ciò che condividiamo con gli altri.

Quante volte ci è capitato di interrogarci sul numero di follower che ciascuno di noi ha sui social media? Non si tratta solo di narcisismo, ma anche di una misurazione concreta della nostra capacità di proiettarci all’esterno e di costruire una personalità nella relazione con gli altri. Se in passato era quasi naturale testare l’abilità relazionale nei rapporti di amicizia, nelle collaborazioni di carattere professionale o nei feedback raccolti da conoscenti o estimatori, oggi dobbiamo sempre più confrontarci con la nostra identità digitale.

IMPRONTA SUL WEB SOTTOVALUTATA. Anche se ci facciamo meno caso, la nostra presenza online è la fonte di un’infinità di segnali per tutti coloro che ci seguono: quanta pubblicità diamo alla nostra vita domestica o ai momenti di svago, che tipo di contenuti tendiamo a condividere con la nostra cerchia di follower (scherzosi, di approfondimento, eccetera), quali account seguiamo a nostra volta come fonte di informazione, a quali eventi partecipiamo. La nostra impronta sul web parla di noi in modi che spesso dimentichiamo o sottovalutiamo: molte persone ci vedranno infatti solo in quella dimensione, senza avere la possibilità di misurare il gap tra vita reale e digitale.

RICADUTE IN AMBITO LAVORATIVO. Questo ha ricadute importanti su ognuno di noi. Penso in particolare a chi desidera un cambio a livello professionale o ambisce a ricoprire un incarico all’interno della propria azienda: quanti dei nostri potenziali selezionatori o superiori saranno tentati dal clic su un motore di ricerca per scovare informazioni su di noi?

Per chi ha già visibilità sarà difficile, se non impossibile, scindere la propria immagine nell’ambito convenzionale di lavoro da quella social

Lo stesso vale però anche per tutti quei professionisti che godono già di un certo grado di visibilità: l’anchorman televisivo, il giornalista della carta stampata, il direttore relazioni esterne di un grande gruppo, un rappresentante del mondo dello spettacolo, una figura istituzionale. In tutti questi casi sarà difficile, se non impossibile, scindere la propria immagine nell’ambito convenzionale di lavoro da quella che veicoliamo sui social.

SERVE CONSAPEVOLEZZA E ATTENZIONE. Inutile dire che da questo punto di vista i potenziali rischi per la reputazione sono altissimi: un post mal interpretabile, un’immagine di noi particolarmente ridicola, un commento sferzante ripreso dalla Rete prima di essere eventualmente cancellato. Essere consapevoli e attenti può rivelarsi in alcuni casi davvero fondamentale.

NON C’È SOLO IL MODELLO INFLUENCER. Veniamo però all’argomento citato all’inizio: la quantità di follower. C’è chi ha fatto del loro numero un asset economico, costruendo su questo elemento una carriera ben remunerata di influencer. Ci sono però professionisti (penso ai manager o a tutti coloro che ricoprono cariche decisionali nell’associazionismo o nell’ambito delle istituzioni) che verrebbero sviati dall’adozione di canoni meramente quantitativi.

Sarebbe opportuno fare una riflessione su chi effettivamente sentiamo il bisogno di raggiungere. E con quale priorità

Una recente analisi dell’Institute of Public Relations invita, per esempio, a concentrarsi sugli elementi a cui fanno maggiore attenzione i nostri follower. Detto in altre parole: non conta tanto quante persone mi seguono, ma perché lo fanno (o dovrebbero farlo). Questo consente di attuare una ricognizione, più o meno approfondita, di tutto ciò che noi rappresentiamo in Rete: quali dei contenuti che pubblichiamo vengono maggiormente condivisi? Quali sono i post che attirano il maggior numero di like? Terminata questa autovalutazione, che può essere condotta anche con strumenti più raffinati di analisi, è opportuno fare una riflessione su chi effettivamente sentiamo il bisogno di raggiungere. E con quale priorità.

OBIETTIVO: ESSERE PUNTI DI RIFERIMENTO. L’amministratore delegato di un’azienda, per esempio, potrebbe ambire a essere considerato su Twitter un punto di riferimento per le tematiche che gli/le stanno maggiormente a cuore o che ritiene più collegate al proprio business. Essere punto di riferimento non significa trasformare il proprio account nella semplice cassa di risonanza delle attività di comunicazione corporate.

PRESENZA ONLINE CHE VA CALIBRATA. La vera sfida consiste nel calibrare la propria presenza online, dando il giusto risalto a contenuti propri (interviste alla stampa, partecipazioni televisive o radiofoniche, blog post), ma anche condividendo contenuti o editoriali di approfondimento o segnalando il punto di vista di esperti o best practice internazionali.

Contare i follower può voler dire accertarsi innanzitutto che i nostri associati in giro per l’Italia ci seguano e ci apprezzino quotidianamente

Lo stesso vale per coloro che sono al vertice di grandi associazioni di rappresentanza: “contare” i follower vuol dire accertarsi innanzitutto che i nostri associati in giro per l’Italia ci seguano e ci apprezzino quotidianamente. Lo stesso avverrà, gradualmente, per tutti quei giornalisti o appassionati che saranno portati a diventare nostri follower per accedere ai contenuti che pubblichiamo o per raccogliere la nostra posizione su tematiche di interesse.

RAFFORZARE IL NETWORK A LUNGO TERMINE. Far crescere i follower può essere un’attività fine a se stessa, che risponde a criteri aritmetici che non hanno valenza strategica. Far crescere un bacino fidelizzato di estimatori vuol dire rafforzare il proprio network in modo duraturo, costruendo un profilo che non è basato sulla quantità delle interazioni, ma sulla qualità di ciò che condividiamo con gli altri.

Fonte: lettera 43 – thanks to Gianluca Comin

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